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costa qui dentro mezz'ora sbattuta via sotto chiusura per togliere le sbrodolate liriche del cazzo
che ci avevi messo?».
Sono stato Zitto per non dargli soddisfazione, lo guardavo mentre mi girava intorno con un
sorrisetto goliardico che avrebbe dovuto attenuare in parte l'effetto delle sue parole.
Ha detto: «Se te lo sei dimenticato non siamo una rivista letteraria, Roberto Bata. Siamo un
settimanale di informazione».
Scandiva tutto come se avesse un megafono a pile incorporato, per farsi sentire da più
redattori che poteva e riaffermare in pubblico alcuni principi di base; neanche in questo caso
riusciva a concentrarsi su un solo interlocutore. Qualche collega sorrideva nel suo stesso modo,
qualcuno guardava altrove; le regole della redazione erano chiare e accettate da tutti, la
solidarietà era riservata alle rivendicazioni contrattuali.
Poi Tevigati si è messo a spiegarmi un servizio che gli era venuto in mente sul ritorno del
matrimonio. Mi ha dettato una lista base di personaggi a cui chiedere un parere telefonico; ha
detto: «Fatti anche aggiornare bene sulle loro situazioni personali, naturalmente».
Gli ho detto: «Va bene»; ho fatto di si con la testa due volte o tre volte visto che continuava a
fissarmi senza muoversi. Ho aperto la rubrica con tutti i numeri di telefono, pieno di risentimento
com'ero. Ogni volta che facevo uno di questi giri di opinioni dovevo rassegnarmi a una piccola
schermaglia, dove gli intervistati sostenevano di essere troppo impegnati in quel momento o di
non avere niente di specifico da dire, di non volere parlare della propria vita privata. Ma bastava
citare i nomi dei loro colleghi già contattati, e fargli capire che il loro ultimo disco o libro o film o
programma televisivo sarebbe stato citato, per sentirli venire fuori senza più riserve, pronti a
rivelare i risvolti più intimi delle loro giornate, pieni d'ansia di mostrarsi brillanti e spregiudicati e
affascinanti.
Il filosofo Branzi mi ha spiegato come la vita nelle grandi città ormai incoraggia gli individui a
vivere da soli, tanto che lui e sua moglie si consideravano una specie in estinzione; la
presentatrice televisiva Suriani ha confermato che si sarebbe sposata alla fine del mese a
Frascati, con una cerimonia assolutamente semplice come quella dei suoi genitori. Registravo le
loro risposte senza quasi ascoltarle, ma potevo vedermeli: concentrati sul suono della loro voce,
eccitati all'idea di essere considerati indicatori di una nuova tendenza o trasgressori di una
vecchia.
All'una avevo già raccolto tra Roma e Milano un buon numero di dichiarazioni argute e
stuzzicanti e sobrie e sorprendenti e piene di buon senso, da ridurre poi a una o due frasi di
seguito al nome degli intervistati in neretto. Dopo due anni che lavoravo a Prospettiva lo stile
impersonale e pimpante che Tevigati si sforzava tanto di coltivare era diventato una seconda
natura; non è che mi capitassero spesso uscite di registro come per l'intervista a Maria Blini. A
volte mi chiedevo cosa avrebbe pensato un lettore tipo a sapere quanto risentimento c'era dietro
ogni breve frase scorrevole, dietro ogni aggettivo facile che gli scorreva sotto gli occhi.
Nell'intervallo sono sceso come sempre a mangiare alla mensa interna, tra le redattrici e i
redattori della mia e delle molte altre riviste dello stesso gruppo, intenti a guardare i loro vassoietti
e fare battute a circuito chiuso e parlare di competenze professionali e diritti sindacali e
rivendicazioni personali. Giravo la forchetta nel mio piatto di penne al prosciutto e pensavo a
Tevigati nel ristorantino separato per dirigenti, ai miei rapporti tiepidi e ripetitivi con Caterina, alla
mia vecchia Voltsvagen che la mattina era partita solo a spinta, alle labbra di Maria Blini giovedì
sera, allo sguardo di Marco Polidori; alle fotocopie del mio tentativo non finito di romanzo che
avevo lasciato venerdì pomeriggio al suo albergo, chiuse in una grossa busta di carta gialla. La
redattrice alla mia destra si chiamava Pesco; mi spiegava che l'aria condizionata le provocava una [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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