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È contro Heidegger che Lévinas solleva, nelle pagine conclusive di
Altrimenti che essere, un accusa di idolatria:
La solennità delle cerimonie e dei culti [& ] la novità degli
istanti della durata, primavere incomparabili, fuori del tempo
quotidiano, la crescita e il rigoglio della natura, la freschezza
e l armonia dei paesaggi, l incessante arrivo della qualità nella
sua presenza immobile, che Heidegger ha saputo percepire e
dire [& ] non sono forse l effetto di qualche macchinario
teatrale dietro la promessa della trascendenza dello
straordinario che essi pretendono mantenere? [& ] Vanità
delle vanità, tutto è vanità, niente di nuovo sotto il sole (AE
pp. 225-226).
Lévinas definisce la filosofia di Heidegger come discorso magico ,
impressionismo di giochi di luci e di ombre che viene da dietro il sipario ,
marcia del discorso in punta di piedi o a passo di lupo .
Questa alterità cui Heidegger si appella nelle ultime opere, richiamo
umbratile di una trascendenza che ammicca nelle radure, divinità che ci
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parla anche se pietrificata nelle statue e nei templi, è farsa, trucco, cerone
che ricopre il vuoto 158.
Come pretende Heidegger nella Lettera sull umanesimo,
l umanesimo non è sufficientemente umano, non tanto perché non ha
intravisto che la dignità propria dell uomo è quella di essere il pastore
dell essere , tutto in funzione della possibilità della sua manifestazione;
bensì perché non ha intravisto che il soggetto umano è tale solo in quanto è
in funzione dell altro uomo.
Fine non è infatti il soggetto/persona come coincidenza con il
proprio essere, come permanenza nell essere, bensì appunto Altri , di cui
io non sono che ostaggio; soggetto posto solo in quanto deposto dalla
mia centralità di Io, soggetto solo in quanto soggezione ad Altri.
Si profila, pertanto, una particolare tipologia di umanesimo, una
nuova immagine della soggettività: essa è mossa dal desiderio
dell'assolutamente Altro, il quale ha lasciato una traccia nel volto senza
forme dell'orfano, della vedova, dello straniero, eleggendomi ad una
responsabilità che non deve nulla alla mia libertà: è la mia responsabilità
per la libertà degli altri. È una soggettività che ha avuto il privilegio di
essere stata scelta, che ha ricevuto, in dono, un ordine o, se si preferisce un
comandamento etico.
158
A. Dal Lago, Dal luogo al deserto. Lévinas, la nudità, l erranza, cit. p. 84.
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L'essenza è squarciata: il soggetto è senza identità, passività che si
accresce; l'Infinito non è più posto tra parentesi, passibile di tematizzazione
o da raggiungersi, una volta pervenuti alla verità dell'essere.
Che lo si chiami Dio o Bene - ma già nominandolo lo si tradisce,
costretti per abuso linguistico a farlo «entrare nel Detto» - sta in
un'anteriorità pre-originaria e pre-logica al di là o al di qua dell'essere.
Umanesimo dell'altro uomo è uno scritto in cui Lévinas invita a
intraprendere un rinnovamento radicale del pensiero, a partire dalla messa
in discussione del primato dell'identico: l obiettivo primario è pensare
l umanità dell uomo al di là dell essere, cioè oltre le categorie ontologiche
della tradizione occidentale.
L umanesimo dell Altro propugnato da E. Lévinas può essere
considerato di fatto come la detronizzazione o la decentralizzazione
dell Io 159.
Il centro di questo umanesimo non è più l Io, ma l Altro bisognoso, il
quale si presenta come volto nudo ed esigente, che ostacola nella sua
radicale alterità la libertà arbitraria, selvaggia ed imperialistica del
Medesimo. Non più l Io è la misura di tutte le cose, ma l Altro diventa la
159
R. Burggraeve, Il contributo di E. Lévinas al personalismo sociale, cit. p. 581.
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misura dell Io. [& ] L uomo per eccellenza la sorgente dell umano è
con ogni probabilità l Altro 160.
La soggettività etica costituisce la sorgente del senso e permette di
pensare il primato dell etica, intesa non come elaborazione o fondazione di
leggi universali e istituzioni oggettive, ma come l immediatezza della mia
responsabilità per l altro uomo161.
Forse proprio in questo, osserva Lévinas, errò la filosofia di Atene,
audace sì, ma non così coraggiosa da mettere in discussione quella che è
divenuta una questione incontestabile: la convergenza tra pensiero ed
essere, ovvero il primato dell'ontologia, il misconoscimento dell'altro.
Essere o non essere - è proprio questo il problema? È questa
la prima e ultima questione? L'essere umano consiste davvero
nello sforzarsi d'essere e la comprensione del senso dell'essere
- la semantica del verbo essere - è davvero la prima filosofia
che si impone ad una coscienza?, la quale sarebbe dall'inizio
sapere e rappresentazione, e manterrebbe la propria baldanza
nell'essere-per-la-morte?, si affermerebbe come lucidità di un
pensiero che pensa fino alla fine, sino alla morte e perfino
nella sua finitudine - già o ancora buona e sana coscienza che
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